Il filo dell'aquilone by Paolo Del Debbio

Il filo dell'aquilone by Paolo Del Debbio

autore:Paolo Del Debbio [Del Debbio, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2022-07-29T12:00:00+00:00


1. “Guardatevi dal disprezzare uno di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nei cieli contemplano continuamente il volto del Padre mio che è nei cieli.”

2. “Avrete la prova che nulla, più della solitudine, può favorire la soavità della salmodia, l’applicazione alla lettura, il fervore della preghiera, le penetranti meditazioni, l’estasi della contemplazione e il dono delle lacrime.”

V

Astorre era ormai prossimo alla professione solenne, avendo portato a termine i sette lunghi anni di noviziato.

La professione, in certosa, ha normalmente luogo durante la celebrazione eucaristica al momento dell’offertorio. Al pane e al vino si unisce l’offerta del fratello che da quel momento sarà monaco professo per tutta la vita. Il novizio viene svestito del mantello nero che ha indossato durante gli anni di noviziato e rivestito della cocolla del professo. Legge la formula che ha scritto di proprio pugno e che, successivamente, consegna nelle mani del Priore perché la deponga come offerta sull’altare: “Ego frater... perpetuam oboedientiam et conversionem morum moeorum et perseverantia in hac eremo, coram Deo et Sanctis eius, et Reliquiis istius eremi, quae constructa est ad honorem Dei, et beatae semper Virginis Mariae et sancti Joannis Baptistae, in presentia Domini..., Prioris”.1 Astorre non aveva mai smesso di meditare su quell’aggettivo, perpetua, che richiamava qualcosa di eterno, infinito e che comunque oltrepassava i limiti del tempo e quindi dell’uomo, almeno nella sua condizione terrena. “Com’è possibile” andava chiedendosi “decidere in questa vita qualcosa che dura per sempre? La grazia di Dio sosterrà certamente la scelta, ma la libertà umana, la volontà umana rimarranno comunque, portando con sé le loro ferite profonde, le loro manchevolezze, i loro limiti.” Perpetua. Senza via di fuga, senza scappatoie, senza ombra di dubbio e di incertezza che avvolgono e caratterizzano tutte le scelte umane.

A questi pensieri se ne accavallavano altri suscitati dalle storie in cui si era imbattuto durante gli spaziamenti o in quel polveroso armadietto di biblioteca. In questa moltitudine di riflessioni gli tornava alla mente un versetto del libro del profeta Isaia: “Non enim cogitationes meae cogitationes vestrae, neque viae vestrae viae meae, dicit Dominus”.2 Dai vigneti della Borgogna di fra Basilio all’ex tanguero, ora padre Giuseppe Maria, e la morte della sua Juanita con la sua canzone preferita, Miraflores, fino all’amore sbocciato e interrotto dalla barbarie umana tra Wilhelm e Heinz. E la sua stessa storia, dalla frequentazione della certosa fin da piccolo, quando andava a prendere il vino e l’olio con suo padre, fino all’incontro con fra Gregorio, il monaco degli aquiloni.

Storie molto diverse, tanto stravaganti da lasciar presupporre che alla loro origine vi fosse una fantasia infinita. Era rapito al pensiero di questa inventiva della vita, che si apre là dove sembra chiudersi per sempre e talora fa l’inverso, chiudendosi all’improvviso dove sembrava offrire uno spiraglio di amore o di felicità o, più semplicemente, di luce. Certo, le vie di Dio non sono le vie dell’uomo, Isaia lo aveva decretato senza appello. Ma alla mente di Astorre questa spiegazione non bastava. Per indole personale e durante i



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